Sabato 8 gennaio 2022 alle 18:00 nello spazio espositivo di palazzo Moncada, sede della Galleria Civica di Caltanissetta, si inaugura La terra metafisica, personale di Attilio Scimone a cura di Andrea Guastella.

La mostra è organizzata con il contributo del Comune di Caltanissetta, con il patrocinio della Pro Loco Caltanissetta e del Lions Club di Caltanissetta.  All’inaugurazione interverranno il Sindaco di Caltanissetta Roberto Gambino, l’Assessore alla Cultura Marcella Natale, il Presidente della Pro Loco di Caltanissetta Luca Miccichè, il Presidente del Lions Club di Caltanissetta Calogero Pernaci, il curatore della mostra Andrea Guastella e il critico Dario Orphée La Mendola. Durante il vernissage verrà presentato il catalogo della mostra, Aurea Phoenix Edizioni, con testi di Alberto Giovanni Biuso, Andrea Guastella e Dario Orphée La Mendola. I proventi della vendita del catalogo saranno interamente devoluti in beneficenza.

 

“Che cos’è, per Attilio Scimone, una città? Che cos’è il paesaggio?”, si chiede l’Assessore alla Cultura Marcella Natale. “Sono”, risponde, “luoghi reali ed insieme metafisici, che ferma e ritrae nei suoi scatti con gli occhi pieni d’amore e di malinconia. Ogni fotografia di Attilio Scimone è unica ed irrepetibile, e nasce dall’incontro armonioso di Storia e Natura. Il paesaggio è ritratto come spazio infinito contiguo alla città, in immagini che si alternano come in un sogno, dal quale la città riceve un senso e un significato che la oltrepassa, che la colloca al centro di un orizzonte più vasto, potenzialmente illimitato. Attilio Scimone restituisce la Bellezza alla Città di Caltanissetta e ai suoi luoghi, e se ne riappropria in una visione totalizzante che rende ogni scatto un’opera d’arte. Il suo mondo è nello stesso tempo città e paesaggio, un mondo nel quale c’è un dialogo ininterrotto tra spazio urbano ed extra-urbano ‘la città nel paesaggio (la città che è nel paesaggio, in quanto spazio extracittadino, ma non si oppone ad esso, non lo nega) attesta, allora, e quasi sancisce, l’infinito del paesaggio: il quale a sua volta è l’infinito della città, nella quale esso non finisce’ (Rosario Assunto)”.

 

Dal testo in catalogo di Andrea Guastella: “Caltanissetta io l’ho sempre vista sui cartelli stradali, andando da Ragusa a Palermo. A volte l’ho sfiorata, per una delle tante deviazioni che la manutenzione viaria rende necessarie.

Sarà stato per il suo nome da castello arabo, ma l’ho sempre pensata come un mitico avamposto: il confine di cui tutti parlano ma che non si raggiunge mai. Un confine tra reale e immaginario, tra la Sicilia del mare, luminosa e vitale, e un deserto di zolfo che sprofonda all’interno in anfratti e insenature.

I declivi rocciosi poco prima dell’imbocco della Caltanissetta Gela nella Palermo Catania, mi hanno sempre parlato di epoche geologiche remote. E lungo e accidentato è, oggi come in passato, il viaggio da e verso questi luoghi.

Un viaggio dello sguardo, costretto gradualmente ad adattarsi a una diversa luce. Se lungo il mare le tinte sono nette e brillanti, qui contano mezzi toni e sfumature. È come se, da un cortile all’aria aperta, si accedesse in un interno. Il quale però non ha niente di chiuso, di ristretto: è sconfinato.

La metafisica, l’idea stessa che il vero si celi dietro sensibili apparenze, frequentando posti simili è del tutto naturale. Perciò non mi sorprendono, nella fotografia di Attilio Scimone, che ad essi ha dedicato uno studio lungo quasi cinquant’anni, le prospettive multicentriche, con punti di fuga non sovrapponibili, incongruenti, che inducono l’occhio a cercare costantemente un ordine nella disposizione delle immagini; la scarsezza di figure umane che, quando ci sono, si mostrano dure, astratte come statue, o disincarnate come spiriti evocati in un racconto attorno a un fuoco; la pressoché assoluta noncuranza per le ombre, il cui posto è preso da graffi, macchie, sovrapposizioni, che bruciano gli argenti degli sfondi; l’insistenza di scene che, anche quando riguardano le città della Sicilia, si svolgono in un altrove imprecisato.

Nessuno degli ingredienti della pittura metafisica manca all’appello. E in effetti con la pittura l’arte di Attilio, almeno quella selezionata per questa esposizione, ha tantissimo in comune. Non, s’intende, per quanto concerne la scelta dei soggetti: lontanissimi dal pittoricismo di maniera – una sorta di neo romanticismo piagnone – di tanta fotografia siciliana, alla lunga insopportabile.

Ad apparentare queste foto alla pittura, o meglio ancora all’incisione, è l’origine, la genesi in vitro, per cui non conta l’attimo, il momento decisivo, ma il lento fermentare delle immagini, il loro modificarsi in sede di sviluppo sino a rivelare parentele insospettabili tra un palo della luce colto di sghembo e dei cristalli di ghiaccio – ammesso e non concesso che le linee filiformi che si stagliano come su un parabrezza bagnato in una delle prime foto, coincidano davvero con oggetti reali.

La nostra mente per comodità le associa a ciò che già conosce, ma in un contesto simile non può fare a meno di chiedersi se esse non rimandino anche a qualcosa di nuovo, di diverso”.

 

“Assumono molti nomi”, ha scritto Alberto Giovanni Biuso, “gli itinerari di Attilio Scimone dentro il silenzio e lo spazio: Paesaggi intimi, Multiverso, Silenzi, Still, Women in nondescript landscape. Titoli che si raccolgono ora nell’unità di una relazione profonda e totale tra Il tempo della natura e Il tempo della storia. Un’opera unitaria e plurale nella quale la maturità di Scimone artista della luce tocca una pienezza fatta di malinconia e potenza”.

 

La mostra è, in primo luogo, una ricreazione sub specie fotografica del paesaggio siciliano, umano e naturale: “In pochi sanno che il sostantivo paesaggio non possiede un’origine certa. L’uomo fa esperienza di esso fin da quanto ha iniziato ad avere consapevolezza di sé. Alcune teorie scientifiche, addirittura, sostengono che l’uomo scelga l’ambiente in cui vivere sulla base di un’innata preferenza estetica (cfr. Gordon Orians), o più semplicemente provi piacere a osservare un paesaggio perché il mistero (creativo) della natura è dentro di noi. Ciò testimonia, oltretutto, che l’uomo ha sempre costruito la sua interiorità confrontandosi con l'ambiente. Da quando la comunicazione con l’ambiente è stata interrotta, però, le soggettività hanno perduto la possibilità di interpretare sentimentalmente l’esistenza. Questa perdita ha causato gravissimi problemi a livello psichico, al punto che l’uomo contemporaneo non riesce più a comprendere che direzione progettuale offrire al mondo. Ristabilire una corretta progettazione deve passare necessariamente dall’arte, essendo questa attività l'unica in grado di sollecitare i sentimenti. L’apporto che l’arte dona, nel ristabilire una comunicazione tra l’uomo e l’ambiente, è fondamentale. L’arte è, in questo senso, un piano di interpretazione eccezionale, un’elevazione al quadrato, una focalizzazione commossa rispetto a ciò che ci circonda” (Dario Orphée La Mendola).

 

“Ho iniziato a fotografare”, ha dichiarato l’autore, “utilizzando pellicole in bianco e nero ed ho vissuto con il mio paesaggio un rapporto esclusivo e personale.

Per tantissimo tempo ho avuto molta considerazione delle immagini di Ansel Adams. Le ho studiate fino in fondo ed ho cercato di carpirne i segreti nell’assoluta perfezione della riproducibilità del paesaggio in sensazionali e misurate tonalità.

Dal 2002 il mio lavoro paesaggistico ha subito una radicale svolta, non sono stato più attratto dalla perfezione accademica delle fotografie di paesaggio ma ho cercato in esso interpretazioni più profonde, scompaginando regole e convinzioni che avevo coltivato per decenni.

Dal quel momento ho attraversato la Sicilia con un desiderio indescrivibile di pura ricerca fotografica.

La scelta più espressiva e pregna di significati è stata l’utilizzo dell’apparecchio fotografico di grande formato che impiego non per realizzare opere nella loro perfezione formale e tecnica ma per la possibilità di operare interventi preventivi sulla pellicola/tavolozza.

Nelle mie immagini cerco di vedere la vita, la storia, la terra, l’amore e di rendere materia il mio pensiero.

Jean-Claude Lemagny sulle mie opere fotografiche ha scritto che ‘ciò che c’è di più fotografico nella fotografia è anche quello che c’è in essa di più artistico; è questo che non bisogna tradire’”.

 

Bio

Attilio Scimone nasce nel 1951 a Riesi (Caltanissetta). Inizia a fotografare nei primi anni del 1970 durante gli studi universitari presso la Facoltà di Architettura di Palermo. In quegli anni segue con molto interesse un corso del filosofo Rosario Assunto sull’Estetica del paesaggio proprio nel momento in cui stava sviluppando specifici temi sull’architettura e sul rapporto tra città e paesaggio. Il percorso universitario è stato fondamentale per la sua preparazione specifica nel linguaggio estetico che negli anni a seguire riguarderà le tematiche e le complessità del territorio siciliano in tutte le sue contraddizioni.

Fin da subito stampa personalmente le fotografie in bianco e nero esplorando, oltre i molteplici aspetti tecnici ed estetici della ripresa, le possibilità creative della chimica fotografica. Lavora su diversi progetti utilizzando come elemento espressivo la fotografia e la stampa in bianco e nero.

Negli anni ‘80 si dedica alla fotografia di paesaggio, architettura ed archeologia industriale. Gli viene commissionato dalla Provincia Regionale di Caltanissetta uno studio dal titolo Caltanissetta ed il suo territorio. La vasta documentazione fotografica prodotta è realizzata utilizzando apparecchi fotografici di grande formato. Il lavoro fotografico è uno studio sul paesaggio e sull’identità del territorio del Centro Sicilia. Viene realizzata una mostra con le immagini più significative e l’intero lavoro viene pubblicato a cura dell’Ente Promotore in diversi volumi.

In quegli anni, oltre a collaborare con alcuni istituti scolastici nell’insegnamento del linguaggio fotografico, produce altre ricerche come una campagna fotografica sulle miniere di zolfo della Sicilia, realizzata sempre con apparecchi fotografici di grande formato ed in bianco e nero. La documentazione prodotta assume una importanza notevole in quanto vengono fotografate tutte quelle strutture che hanno rappresentato per tanti decenni l’economia del Centro Sicilia e le tecnologie internazionali applicate alle strutture e ai macchinari per l’estrazione, la lavorazione ed il trasporto dello zolfo.

Negli anni successivi e sino al 2000, oltre a dedicarsi all’insegnamento della fotografia presso specifici istituti di formazione professionale, si dedica alla sperimentazione fotografica, cercando di sfruttare al massimo le risorse estetiche che possono fornire dei prodotti chimici per lo sviluppo e la stampa della fotografia. Oltre alle sperimentazioni che riguardano il transfer su foto delle Polaroid, per le sue immagini utilizza tecniche di viraggio e variazione dei toni come solfurazione, pirocatechina, viraggi all’oro, al ferro, al selenio, platinum.

La ricerca su cui si è impegnato più a lungo è il grignotage; la questione tecnica si risolve in un concetto molto semplice: ottenere il rigonfiamento della gelatina nelle parti non esposte dell’immagine in modo da poterla asportare o “muoverla” sino ad arrivare al supporto cartaceo. Con questa modalità viene realizzata una serie con stampe di vari formati, sino alle dimensioni di 80x120 cm. Tutta la ricerca fotografica riguardante queste tecniche viene esposta soltanto dal 2002 in poi.

Da qui in avanti il suo percorso sarà totalmente dedicato al segno della materia e della luce.

Nascono così: La Terra metafisica, Esatto e d’argento, Explora, Materia e Luce, Silenzi, Still, Multiverso, Naufrago, Suoni, Studio, Women in nondescript landscape, Paesaggi Intimi, Portraits, Variazioni, Grignotage, Forma, Polaroid transfer, Liquid light, Deterioration series, Brands.

Molti critici e saggisti hanno scritto sui suoi lavori: Giuseppe Alletto, Ignazio Apolloni, Alberto Giovanni Biuso, Gino Cannici, Francesco Carbone, Giovanna Cavarretta, Giuseppe Cicozzetti, Michele Curcurutu, Massimo Ganci, Andrea Guastella, Diego Gulizia, Dario Orhpée La Mendola, Jean Claude Lemagny, Mario Lentini, Sergio Mangiavillano, Diego Mormorio, Rosalba Panvini, Pippo Pappalardo, Franco Spena, Paola Trevisan, Antonio Vitale.

Una parte molto importante del suo lavoro è la produzione di libri d’artista editati in copia unica o al massimo in edizione di 4 realizzati interamente a mano con stampe originali in bianco e nero, fine art, platinum. Nel 2017 viene chiamato a tenere un workshop di fotografia e tecniche avanzate di stampa in B/N presso l’Accademia delle Belle Arti di Catania.

 

Info mostra:

Palazzo Moncada
Largo Barile – Caltanissetta Tel. 0934 585890

Inaugurazione: sabato 8 gennaio 2022, ore 18:00
Durata della mostra: 8 – 23 gennaio 2022
Orari di apertura: 9:30 – 13:00 / 17:00 – 20.00 (Mar. – Ven.);

10:00 – 13:00 / 17:00 – 20.00 (Sab.)

Catalogo in sede, Aurea Phoenix Edizioni

Ingresso libero

ANNO XXIII  - N. 68


LA MEMORIA DELLA TERRA


Critical text

Aberto Giovanni Busio

 

Alberto Giovanni Biuso

Paesaggi intimi (intimate landscapes), Multiverso, Silenzi (silences). Still, Women in nondescript landscape are the latest places in Aitilio Scimone's journey into silence and space. Steps and paths remain faithful to the substance and light which is the title of his research carried out between 1990 and 2010. In the images of those years the light drifted into the substance that had been alive, albeit humble. They were fields of weeds that transcended and transfigured with the touch of the photogra­pher that gave them shape, depth, and substance.

But then the space widened out and the spines of the fields became the artist's scratches on photographic material. Trails, waves, lands, plants, wheat are joined by the touch of dissolution. It is just a matter of time. Time, which Scimone says, is "a circle that ends" but that in the circumference of his being, rising and ending, he collects female figures in the air, humans accompa­nied by things, the silences of stone and structures of sounds, walls built by history and hills shaped by the evenings.

Between grasses, silences, scratches and waves, finally, we see the beauty. Beauty in essence, the paradigm of beauty, beauty that disturbs us, envelops us, wins us over and makes us happy. The beauty of the woman. Multiverso brings them together, these women. It gathers them as they advance sinuously with their heels in the wheat or so elegant they seem to plead their own dignified glory. It gathers them as they pose far from the pho­tographer's gaze and desire, and while surrounded in the archaic black of Sicily, they fill themselves with the places, the film, the cravings and the memory.

Memory, lost time, its remembrance given by seemingly triv­ial events, from what Proust called les intermittences du coeur. the intervals of the mind between instants, in which the power of facts and things scents to fall back intact as it was. There is a bit of Proust in the photography of Scimone. Because Proust, like everyone of his time, lived in black and white. As extraordinary as it seems to us today, in fact, in the first decades of the twentieth century all artistic reproductions were monochromatic. Most of the paintings described by Proust and discussed in his novel, the writer saw them reproduced in black and white images. Yet it was also this difficulty in seeing colour that made the very special way in which Proust speaks of the painters possible and the continu­ous creation of colours of which the Recherche is made up. Black and white becomes in fact the memory that creates the world, its progress; it becomes the spaces, humans. The same thing hap­pens with Scimone.

However, there is a difference. And it is deep, it is big. Scimone docs not look at paintings, does not live in the rarefied light of Paris and the farthest reaches of Europe. Scimone imagines the light of the South, its stones, its dry, arid land. His photographs absorb the mystical and happy despair of lands being burnt for millennia under the Sun, inhabited by mourning and glory, liv­ing in servitude and incoercible in anarchy. The nature that the artist brings to life is made of disorder and necessity, of yellow fields and of a sky without peace, of the implacable turquoise that becomes gray with his style and therefore even more burnt. Movement and being human arc embedded in his images of loneliness without salvation, of mistrust without a future, of a monadic solidarity that ignores the communitas.

This discreet and yet ruthless artist is intimately drawn to the irony that lies at the bottom of death and that in the last stretch of his own struggle he slowly bends towards sleep invoking once again the Mother.

For it is clear that the women of Scimone arc the Mother when she was not so, when she was the erotic and silent dream of the earth, when she was a 'lady', and with this one name alone she aroused desire. Women dressed in black. Ancient women in their youth. Women, powerful in their distance.

In these females, in these thorns, in these paths, in these scratch­es, in these shrubs, in these alone, life is the darkness that makes every light possible, existence is a surrender that does not know defeat.

 

Alberto Giovanni Biuso

Paesaggi intimi, Multiverso, Silenzi, Still, Women in nondescript landscape sono i luoghi più recenti dell’itinerario di Attilio Scimone dentro il silenzio e lo spazio. Passi e cammino rimasti fedeli alla materia e luce che fa da titolo alle ricerche svolte tra il 1990 e il 2010. Nelle immagini di quegli anni la luce si raggrumava dentro la materia che era stata viva, pur se umilissima. Erano infatti erbacce di campo che trasumanavano e trasfiguravano nel tocco del fotografo che dava loro forma, profondità, sostanza.

Poi però lo spazio si è spalancato e le spine dei campi sono diventati i graffi dell’artista sulla materia fotografica. Sentieri, onde, terre, piante, grano vengono accomunati dal tocco della dissoluzione. È soltanto questione di tempo. Tempo del quale Scimone dice che è «un cerchio che finisce» ma che nella circonferenza di questo suo stare, sorgere e finire raccoglie figure femminili dentro l’aria, umani accompagnati dalle cose, silenzi di pietra e architetture di suoni, muri edificati dalla storia e colline plasmate dalle sere.

Tra le erbe, i silenzi, i graffi e le onde si staglia finalmente la bellezza. La bellezza per antonomasia, la bellezza paradigma, la bellezza che ci turba, ci avvolge, ci vince e fa felici. La bellezza della donna. Multiverso le raccoglie, queste donne. Le raccoglie mentre sinuose avanzano coi tacchi dentro il grano o elegantissime sembrano supplicare la loro stessa pacata gloria. Le raccoglie mentre posano distanti dallo sguardo e dal desiderio del fotografo e mentre avvolte nel nero arcaico di Sicilia si accingono a riempire di sé i luoghi, la pellicola, le voglie, la memoria.

La memoria, il tempo perduto, la sua rimemorazione data dagli eventi apparentemente più banali, da quelle che Proust ha chiamato les intermittences du coeur, gli intervalli della mente tra gli istanti, nei quali la potenza dei fatti e delle cose sembra rifiorire intatta come è stata. C’è non poco di proustiano nel fotografare di Scimone. Perché Proust - come tutti nella sua epoca - viveva immerso nel bianco e nero. Per quanto oggi ci sembri singolare, infatti, ancora nei primi decenni del Novecento tutte le riproduzioni artistiche erano monocromatiche. La maggior parte dei quadri descritti da Proust e discussi dentro il suo romanzo lo scrittore li vide riprodotti in immagini fatte di bianco e di nero. Ma è stata anche questa difficoltà nel vedere il colore a rendere possibile il particolarissimo modo in cui Proust parla dei pittori e la continua creazione di colori di cui si compone la Recherche. Il bianco e nero diventa infatti la memoria che crea il mondo, il suo derularsi, diventa gli spazi, gli umani. Lo stesso accade in Scimone.

Ma la differenza c’è. Ed è profonda, è grande. Scimone non guarda quadri, non vive nella luce rarefatta di Parigi e dell’Europa più distante. Scimone immagina la luce del Sud, delle sue pietre, del suo spazio asciutto, inaridito, secco. Le sue fotografie assorbono la disperazione mistica e felice delle terre infuocate da millenni di Sole, abitate dal lutto e dalla gloria, viventi nella servitù e incoercibili nell’anarchia. La natura che l’artista rende viva è fatta di disordine e di necessità, del giallo di campi riarsi e di un cielo senza pace, di quell’implacabile turchese che il suo stile ci restituisce fatto grigio e quindi ancora più bruciato. 

Il movimento e lo stare degli umani sono intrisi nelle sue immagini di una solitudine senza salvezza, di una diffidenza senza futuro, di una solidarietà monadica che ignora la communitas. 

La forma di questo artista sobrio e però spietato è intramata dell’ironia che sta al fondo della morte e che nell’ultimo tratto della propria fatica si piega lentamente verso il sonno invocando ancora una volta la Madre.

Perché è chiaro che le donne di Scimone sono la Madre quando ancora non era tale, quando costituiva il sogno erotico e silente della terra, quando era ‘signorina’ e già con questo solo nome scatenava il desiderio. Donne vestite di nero. Donne antiche pur nella loro giovinezza. Donne potenti nella loro distanza.

In queste femmine, in queste spine, in questi sentieri, in questi graffi, in questi arbusti, in questi soli, la vita è la tenebra che rende possibile ogni luce, l’esistenza è un arrendersi che non conosce sconfitta.

 

Agosto 2017

The creative sense of the image in the photographic work by

ATTILIO SCIMONE

 

Critical text

GIOVANNA CAVARRETTA

The influence of post-modern trends places Attilio Scimone’s photograph in a personal setting, where narration

assumes a fundamental role in some work cycles such as “Still”, to leave a place in “Silent” “Materia, Luce,

Irreducibility”, or “Suoni” more sophisticated, whose elements drawn from nature such as weeds, flowers,

sometimes even artificial, reveal a complex poetic characterized by the presence of signs, scratches on the

margins or between the folds of the image, and the intense contrast between the object taken from the environment

and the manifestation of the author. Consequently, the preparatory process becomes necessary and

essential for the formation of an expressive language that aims to create the sense of the image, revealing the

relationship between the operator and the world through a fragment of reality. The elaborated technicality

reflects the various possibilities, the urgency to find a particular element to make it unique; Like portraits of

artists or men of culture, immortalized in their work environment, caught up in their everyday “things to do”,

thus making their meticulous choice in the moment the the shooting starts. This method of analysis allows

Scimone to make a deliberate selection and at the same time to prepare the ground for a deed that, although

mechanical, such as framing, concretizes in the diaphragm the result of a creative becoming. Capturing the

instant, immobilizing the moment to bring to light the artistic truth of what is represented, is the central

point of his investigation. The speed and limitations set by the camera allow him to capture the unrepeatable

instant, declining in its different aspects. The image can be read as an act of recording moments in the flow of

time. The present data is conveyed to a future that is already memory, imprinted on the negative, changing its

original state, assuming a new meaning, recounted by black and white balance and evoking the renunciation

of the banality of our existence. The click gives the observer a trace of reality, where the objective data taken,

implies, on the maker, a choice and an interpretation; a great ability to fix important details and differences

to highlight the social and cultural change in the history of photography. Scimone is an attentive observer in

the affirmation of the essence of specific events that only the camera can reveal, ruthlessly looking for perfection

of the image to combine a wise technique to aesthetic research of beauty and truth. Composition of a

photograph is often the key instrument to show the complexity of an evocative vision of life and can suggest

through the form or light the beauty resulting from the harmonious relationship between the light and the

dark and the different parts. A sublime melancholy draws from Scimone’s works, experiences summarizing in

shots, evoking the silence creator of an idea that will be realized in the mystery of Art.


L’influenza delle tendenze post-moderne colloca la fotografia di Attilio Scimone in una cornice prettamente

personale , dove la narrazione assume, in alcuni cicli di lavoro come per esempio “Still”, un ruolo

fondamentale, per lasciare il posto In “ Silent” , “Materia, luce, irriducibilità”, o ancora “Suoni” a scatti

più sofisticati, i cui elementi tratti dalla natura come erbacce, fiori, a volte, anche artificiali, mettono

in evidenza una poetica complessa, caratterizzata dalla presenza di segni, graffi ai margini o tra le pieghe

dell’immagine, e l’intensa contrapposizione fra l’oggetto desunto dall’ambiente e la manifestazione

dell’autore. Quindi,il processo preparatorio diventa necessario e fondamentale per la formazione di

un linguaggio espressivo che mira a creare il senso dell’immagine, rivelando il rapporto tra l’operatore

e il mondo, mediante un frammento di realtà. L’elaborato tecnicismo rispecchia le diverse possibilità di

imprimere nello scatto, l’urgenza di trovare un particolare elemento volto a renderlo unico; è il caso dei

ritratti di artisti o uomini della cultura, immortalati nel loro ambiente di lavoro, colti nel loro “fare” quotidiano,

aprendo così le porte ad una meticolosa scelta dell’attimo in cui parte lo scatto. Questo metodo di

analisi, permette a Scimone di operare una selezione intenzionale ma nel contempo di preparare il terreno

ad un atto che seppure meccanico, come ad esempio l’inquadratura, concretizza nel diaframma il risultato

di un divenire creativo. Catturare l’istante, immobilizzare l’attimo per portare alla luce la verità artistica di

ciò che è rappresentato, costituisce il punto centrale della sua indagine. La velocità e le limitazioni poste

dalla macchina fotografica gli consentono di cogliere l’irripetibilità di un istante, declinato nei suoi differenti

aspetti. L’immagine può essere letta come un atto di registrazione di momenti nel fluire del tempo.

Dati del presente si consegnano ad un futuro che è già memoria, presenza impressa sulla negativa , che

muta il suo stato originario, assumendo un nuovo significato, raccontato dagli equilibri del bianco e nero

e nell’evocare la rinuncia alle banalità della nostra esistenza. Lo scatto dona all’osservatore una traccia

della realtà, dove il dato oggettivo prelevato , implica , da parte dell’artefice, una scelta e un’interpretazione;

una grande capacità di fissare dettagli e differenze importanti per sottolineare il mutamento sociale

e culturale della storia della fotografia. Scimone è un osservatore attento nell’affidare l’essenza di specifici

eventi, che solo la macchina fotografica può svelare, ricercando con assoluto rigore una perfezione d’immagine

tesa a coniugare una sapiente tecnica ad una ricerca estetica del bello e del vero. La composizione

di una fotografia è spesso lo strumento cardine per mostrare la complessità di una visione suggestiva della

vita e può suggerire attraverso la forma o la luce la bellezza risultante dal rapporto armonico tra il chiaro e

scuro e le diverse parti. Una sublime malinconia trapela dalle opere di Scimone, esperienze che si riassumono

in scatti, evocanti il silenzio creatore di un’idea che si realizzerà nel mistero dell’Arte.



ACCADEMIA Di Belli Arti Catania

 

08. Apr. 2017

WORKSHOP DI FOTOGRAFIA ANALOGICA E TECNICHE AVANZATE DI STAMPA IN B&W CON ATTILIO SCIMONE

 

La scuola di Fotografia del Dipartimento di Arti Applicate dell'Accademia di Belle Arti di Catania

organizza e promuove il workshop di fotografia analogica e tecniche avanzate

di stampa in bianco e nero con il fotografo Attilio Scimone.

L’obiettivo del workshop è quello di fornire ai suoi partecipanti le competenze necessarie

allo sviluppo di progetti di ripresa e di stampa fotografica in bianco e nero,

affrontando la fotografia nei suoi aspetti storici e linguistici.
Particolare attenzione sarà data ai processi di ripresa con apparecchi fotografici analogici di vario formato,

di sviluppo e stampa del negativo, e la sperimentazione dei principali viraggi.