Noi #10,  2014 - 50x60 cm - Gelatin silver print - Edition of 7 (particolare)


Naufrago, 2014




Testo critico:

Antonio Vitale

La tensione emotiva dell’opera di Attilio Scimone muove da una variazione lirica sugli svariati soggetti-oggetti utilizzati, esplorando ed interpolando la coscienza dello sguardo proprio e altrui attraverso il solitario uso di tagli o la carezzevole convulsione di polverosi fitti e leggeri segni. In questo modo l’artista reinventa ed allontana i fantasmi di magrittiana natura rendendo la finzione di uno scatto una concreta e tangibile modalità percettiva. Il mondo di cui Scimone parla nelle sue foto esiste, ma solo nei confini delle sue opere, nelle sensibili intuizioni delle sue graffiate visioni. Il dato rubato alla vita oggettuale assume un nuovo significato all’interno dello spazio compositivo che suggerisce sintetiche leggi di plasticità e rigore virando di continuo tra poli estremi fatti di “bianco & nero”, comprendendo, nelle variazioni tonali del grigio accolto nella scena, una molteplicità di significati che rimbalzano tra sprofondamento e svelamento. Sprofondamento e svelamento protagonisti di un’idea personale di narrazione, intesa come pensiero che si trasforma. Per Scimone la sua segnica di graffi determina delle distrazioni che hanno il preciso compito di far emergere il sotterraneo racconto nascosto sotto la pelle che incarta i suoi soggetti. È come un viaggio a ritroso che utilizza il segno per giungere alla comprensione del gesto originario e da qui esplorare la spontaneità, la natura, la vita; elementi tutti pesati nella loro solidità e non nella vuota apparenza. In tal modo l’esito a cui giunge esprime il concetto di un realismo-spaziale, dove l’immagine racconta e il graffio scopre l’atmosfera e lo spazio in cui respirano i sentimenti e corrono le tensioni proprie dei soggetti scelti per i suoi scatti. Come non pensare alla serie dei suoi naufragi sociali che racchiusi nel titolo di #habitat raccontano storie che sono di ciascuno di noi: quelle desolanti e prive d’umanità di un’archeologia industriale o crudeli e insensate dello sviluppo perverso di costruzioni che hanno violato le periferie delle nostre città. Come non vedere quindi in queste icone contemporanee la stessa natura della serie #relitti che attraverso frammenti di “barconi della morte” hanno rubato al silenzio di un fondale marino una testimonianza: il fallimento di un progetto di speranza per tante persone, l’umiliazione del Senso. L’immagine impone sempre un superamento della visione, suggerisce un continuo naufragio percettivo. I suoi graffi rendono l’artista protagonista bipolare di un destino tra carnefice e vittima; i suoi segni umanizzano la realtà anche oggettuale facendocela avvertire come presenza che talvolta approda ad una dimensione visionaria e annebbiata. Ecco, ci accoglie la serie dei suoi #silenzi con immagini sintetiche ed evocative, i ritratti emblematici di #noi, il rumore di #voci che registrano una dilatata quotidianità ed infine #oltre per trovare l’uomo come collante tra religioni diverse, accomunate dalla forza centripeta della preghiera, intesa come dialogo elettivo tra noi e ciò che a noi è complementare. La sintesi del risultato a cui giunge porta Scimone a ritrovarsi nell’ossimoro di un “barocco silenzioso” della rappresentazione visiva mediante un taglio descrittivo e narrativo solo apparentemente inquadrato, chirurgico, composto, dettagliato e infinitamente variato. Al fruitore invece è offerto uno smarrimento sinestetico, una contaminazione di sensi, in cui la forza espressiva delle immagini trasuda nell’alveo della poesia intesa come intima aderenza, fragile contatto. 


Antonio Vitale, 2014